MI SACRIFICO SEMPRE PER GLI ALTRI. PERCHÉ LO FACCIO? LA TRAPPOLA DELL’AUTOSACRIFICIO

Spesso mi capita di avere in studio pazienti che mostrano un’eccessiva attenzione ai bisogni degli altri a scapito dei propri.
Se leggendo questo articolo noti almeno cinque delle seguenti caratteristiche c’è un’alta probabilità di aver sviluppato lo schema dell’autosacrificio:
- le persone normalmente si rivolgono a me per chiedere aiuto o consiglio;
- tendo a pensare agli altri piuttosto che a me stesso;
- lascio perdere ogni cosa se qualcuno vicino a me ha bisogno del mio aiuto;
- dò più agli altri di quanto ricevo in cambio;
- faccio le cose per gli altri piuttosto che lasciare che si sforzino di farle da soli;
- se qualcuno mi chiede qualcosa mi sento colpevole se rispondo di no;
- mi capita di sentirmi stanco e oberato dalle cose che devo fare per gli altri;
- trovo difficile vedere qualcuno che soffre emotivamente;
- raramente esprimo i miei sentimenti e i miei bisogni agli altri;
- mi sento egoista a mettere i miei interessi davanti a quelli degli altri;
- ho la sensazione di non fare mai abbastanza e mi sento in colpa.
Inoltre, nelle conversazioni tendono ad ascoltare piuttosto che a parlare di sé; si occupano degli altri ma hanno difficoltà ad occuparsi di sé stesse; si sentono in imbarazzo quando l’attenzione ricade su di loro; per ottenere qualcosa sono indirette e non esprimono apertamente le loro richieste.
Generalmente queste persone non chiedono niente in cambio ma quando sono loro stare male si aspettano aiuto e cure dagli altri e quando questi ultimi non soddisfano tali aspettativi provano profondi sentimenti di rancore, rabbia e risentimento, talvolta inespressi.
Le persone che presentano lo schema dell’autosacrificio tendono a sacrificarsi in maniera volontaria per evitare la sofferenza delle altre persone, per evitare di sentirsi egoiste o colpevoli oppure per mantenere saldo il legame con un’altra persona che ritiene bisognosa di cure.
Lo schema dell’autosacrificio può sembrano uno schema positivo ma in realtà non è così. Come abbiamo suddetto le persone che presentano tale schema sacrificano se stessi e provano sentimenti di colpa e di rabbia quando i loro bisogni non vengono soddisfatti.
Tali emozioni non espresse spesso possono sfociare in disturbi psicosomatici. Infatti tali pazienti manifestano una sintomatologia psicosomatica come mal di testa, disturbi gastrointestinali, dolori cronici o affaticamento.
DA DOVE PROVIENE L’AUTOSACRIFICIO?
L’autosacrificio nasce in famiglie con genitori bisognosi di aiuto. Durante l’infanzia le persone con questo schema si sono sentite responsabili del benessere di uno o entrambi i genitori; i genitori potrebbero essere stati disabili, immaturi emotivamente, instabili emotivamente o con una dipendenza. Qualunque sia stata la circostanza, il bambino è cresciuto assumendosi responsabilità “da adulto” che si deve occupare dei propri genitori o dei fratelli.
Il valore della persona diventa associato al dover aiutare gli altri; quindi ha imparato che i propri bisogni non sono importanti quanto quelli degli altri e talvolta temono di essere un peso.
COME DISINESCARE LA TRAPPOLA DELL’AUTOSACRIFICIO
Attraverso la psicoterapia si rende il paziente consapevole che l’autosacrificio non è affatto qualcosa di buono; la persona viene sensibilizzata sulla sproporzione tra “il dare e l’avere”, mettendo in luce la mancanza di equilibrio tra ciò che il paziente dà alle persone significative e quello che invece riceve da loro. Imparerà a esprimere e soddisfare i propri bisogni a stabilire dei limiti senza sentirsi in colpa. Imparerà a dare valore a se stessi tanto quanto né danno agli altri.